mercoledì 12 ottobre 2011

Mai paura... (sottotitolo: l'avvelenata)

non ho pazienza, non l'ho avuta mai: non parlarmi di un viaggio che poi non farai



Ho imparato da poco che si chiama “nodding”. Un tipo ti guarda e sorride, accennando affermativamente con il capo. Dove lavoravo prima aveva un termine meno tecnico: “Sìsìsì, certocertocerto”. Lo diceva il mega capo al posto di uno "Scòrdatelo". Mi sembra quasi irreale che ci sia un nome "etologico" anche per questo. Ma almeno, chi ha deciso di dare un’etichetta a questo comportamento cerca di guadagnarci qualcosa: è una sorta di tecnica di vendita. Il nodding lo facciamo tutti i giorni, non ci pensiamo neppure più, per non litigare, per non dare spiegazioni, per non prendere una posizione, per rassicurare (e se devi rassicurare qualcuno, nove a dieci che lo stai fregando).

Quante volte hai sorriso invece con un urlo nelle orecchie che sentivi solo tu? Quante volte hai fatto buon viso a cattivo gioco (maledizione a me, come odio le frasi fatte), mentre avresti davvero dato due pedate al tavolo e insultato tutti i presenti? Che razza di vita ci stiamo facendo, se passiamo metà del nostro tempo a fare quello che non vorremmo?

Passi sul lavoro. Passi quando “il gioco vale la candela”…ma la candela di chi?! Quando questo sorridere comunque e a prescindere prende possesso della nostra vita, forse stiamo sbagliando qualcosa. Cosa abbiamo paura di perdere?

Se hai paura di perdere qualcosa, non è tuo o non lo vuoi. Basta raccontarti balle. Se hai bisogno di chiedere appoggio a qualcuno per farti dire che non sei convinto, non vali il tempo che il prossimo ti dedica. Se hai bisogno che qualcuno ti spieghi quello che già sai, vattene. Non c'è bisogno di te.

Mi trovo in mezzo a situazioni che non mi appartengono, e che sembrano importantissime. Vitali, addirittura. Impossibile prendere una posizione. E davvero non sono mie: sono quelle di un’altra persona. Che fa cose che non vorrebbe, che non ha le palle di prendere in mano una vita e di lasciarla scorrere. Anche se è la sua.

Andarsene, lasciare, cambiare, mandare tutto affanculo: ne sento parlare da una vita. Benvenuti nel Nordest, nella PaludePadana, a Milano. E' una moda degli ultimi 35 anni (non ne ho di più): tutti se ne vogliono andare, vogliono lasciare…ne parlano in continuazione. E anche quando pensano di essersene andati, in realtà si sono solo mossi, traslati, si sono portati dietro tutto quello a cui erano attaccati, tutto il peggio, raramente il buono. Hanno spostato il loro desiderio da un punto all’altro dell’Italia, dell’Europa tutt’al più. Alcuni anche del mondo. Si sono dimenticati a casa solo l’orgoglio di guardarsi in faccia, l’onestà di ammettere le sconfitte, l’umiltà di chiedersi che cosa vogliono e la responsabilità di prendersi quello che vogliono.

Nessuno che abbia gli attributi per guardarsi in faccia e dirsi che forse non sta seguendo la strada che vuole, perché potrebbe voler dire (chissà...) assumersi una maledetta responsabilità verso di sè, l’uscita da una situazione di stallo, l’inizio di una avventura nuova perché quella vecchia la conosciamo già.

C’è sempre un Frank Miller nella tua testa, se lo vuoi ascoltare, che ti ricorda quanto piccolo puoi essere, e quanto squallido ogni tuo tentativo di eroismo. Forse l'eroismo è davvero appannaggio di pochi, e in troppi vorrebbero sentirsi eroi senza sbattersi davvero per esserlo.

Non hai mai pianto? Non ci riesci? Magari è una fortuna, non l’hai mai pensato?

Non perdono più (in primis me).

Da domani farò di nuovo la brava persona.

Desidero ringraziare Wikipedia, che mi fornisce spessissimo gli approfondimenti, e che esiste ancora nonostante lo stato italiano.